Hanen Srarfi fa da guida per i corridoi del museo. In questo luogo tutto è predisposto per esaltare la storia di uno dei nemici più temibili che Roma Antica abbia avuto, Cartagine. Vari pannelli mostrano come la civiltà fenicia si sia espansa e anche il tragitto che Annibale ha compiuto per attaccare Roma.
Al Bardo è anche custodita la collezione di mosaici romani più vasta al mondo. Nonostante questa ricchezza di opere e reperti, le sale sono vuote. Si incrociano solo due ragazze del luogo, nella sala dell’harem finemente decorata con moreschi e piastrelle. Chiedono qualcosa in arabo a Hanen e poi si defilano.
All’improvviso ci ritroviamo in una sala dove è custodita una statua di Bacco. Sulla teca che la protegge, il foro di un proiettile. Stiamo facendo all’inverso il percorso che hanno fatto i terroristi il 18 marzo del 2015. Passiamo per una delle sale che danno sul parlamento. Anche lì, ben visibile sulle finestre, il foro di un proiettile. Hanen non sa dire sia quello del fucile di uno dei terroristi o delle forze dell’ordine sopraggiunte per fermare il massacro.
Poco dopo aver attraversato la sala di Cartagine, incontriamo Aladdine Hamdi, che lavora come guida al museo. Il 18 marzo era presente. “Quel giorno mi trovavo qui per studiare per un corso di sicurezza obbligatorio” dice lui, non soffermandosi sull’ironia del caso. Il suo volto appare scosso mentre ripercorre la sua esperienza in quella terribile giornata. Dice che non vuole essere né ripreso né fotografato.
“Verso mezzogiorno e mezzo stacco per andare a pranzare, quando sento dei colpi provenire dai piani superiori. Mi reco nella sala da pranzo del palazzo, dove trovo una quarantina di turisti francesi, preoccupati per i colpi appena sentiti”. Aladdine è convinto che i terroristi siano diretti al parlamento. Tuttavia, raccomanda ai turisti di abbassarsi, fare silenzio e spegnere i cellulari.
“Chiudo tutte le porte e mi piazzo davanti a una di esse. Nel frattempo faccio entrare tutti i turisti che posso. Quando però arriva un uomo anziano coperto di sangue capisco che i terroristi sono all’interno del palazzo”. La guida decide di lasciare la sala per accompagnare un uomo che sta cercando di ritrovare la moglie. Passando per la sala di Cartagine, i due si imbattono in alcune delle vittime.
“Ho cercato di convincerlo a tornare indietro, ma non ha voluto ascoltarmi. A quel punto ho deciso di tornare nella sala dove mi ero nascosto con i turisti francesi. Tra di loro c’era anche una donna incinta, convinta che gli si fossero rotte le acque”.
Poco dopo essere rientrato, Aladdine decide di uscire di nuovo per cercare soccorso. Sul suo percorso incontra le teste di cuoio della polizia nella sala del Petit Palais e le guida nella sala dove i terroristi si erano nascosti. Durante la nostra visita per il museo incontriamo anche Lassad Bon Ali, che lavora come addetto alla sicurezza.
“Li ho visti arrivare. Erano in due, ma pensavo fossero molti di più. In televisione avevo visti i filmati di come l’Isis avesse distrutto tutte quelle statue nel museo di Mosul. Ero convinto che avrebbero fatto la stessa cosa qui”. Lassad, conscio della sua vulnerabilità, decide che la migliore cosa da fare è nascondersi. “Mi sono diretto nella sala del sarcofago, che non è aperta al pubblico. Ho trovato un angolo e mi sono nascosto sotto una coperta.”
La guida è stata trovata solo il giorno dopo, quando un gruppo di colleghi è tornata sul luogo apposta per cercarlo. Insieme a lui hanno anche trovato una coppia di turisti spagnoli, che come Lassad si erano nascosti in una sala chiusa al pubblico.
“Certo, è stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita, ma dopo due giorni ho ripreso il mio lavoro come nulla fosse.”